sabato 11 agosto 2018

SALVADOR DALI' 3

La persistenza della memoria o Gli orologi molli  di Salvador Dalí uno dei quadri più famosi, di cui mi innamorai tanti anni fa, non conoscendo né l’arte, né Dalì, ma avendone captato il rapporto difficile per me col tempo e col cibo. Diceva Dalì “non so cosa faccio, so quello che mangio” forse riprendendolo dal filosofo Ludwig Feuerbach o dagli antichi romani. In effetti mangiamo e assimiliamo il cibo, senza cibo non abbiamo vita, logico che ciò che mangiamo è vita per noi e forse l’infelicità dei tempi nostri è dovuta anche all’invenzione delle diete dimagranti e al tempo che fugge sempre più veloce dalle nostre mani. Forse Dalì che ha capito dove sta andando l’umanità ci dice… rendi molle e dilatato il tempo, stai tanto a tavola ma gusta ogni secondo, non rimpinzarti gusta col palato ciò che ami, lentamente e senza sensi di colpa.
Il cibo che più di tutti ha stimolato la fantasia gastronomica di Dalì, oltre alle uova, è senz’altro il formaggio Camembert, che ha ispirato questo famosissimo quadro. Questi tre orologi che si stanno liquefando nel paesaggio marittimo, uno è stesso su un ramo di ulivo ormai secco quasi come a dargli un po' di vita. L'ulivo, l'olio, il mondo mediterraneo e il suo muoversi col sole, ormai tutto è andato e l'orologio definisce non più il giorno o la notte, ma le ore, addirittura i secondi. Il tempo dilatato degli orologi molli invece si scioglie con dolcezza. Il quarto orologio rigido e normale è pieno di laboriose formiche, gli operai alienati dalle macchine, disadattati, senza più lo scandire lento del suono delle campane del mondo agricolo. Dalì racconta …  E il giorno in cui decisi di dipingere orologi, li dipinsi molli. Accadde una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa, il che mi succede alquanto raramente. Volevamo andare al cinema con alcuni amici e invece, all’ultimo momento, io decisi di rimanere a casa. Gala, però, uscì ugualmente mentre io pensavo di andare subito a letto. A completamento della cena avevamo mangiato un camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico dell’ipermollezza posto da quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier, com’è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto cui stavo lavorando. Il quadro rappresentava una veduta di Port Lligat; gli scogli giacevano in una luce alborea, trasparente, malinconica e, in primo piano, si vedeva un ulivo dai rami tagliati e privi di foglie. Sapevo che l’atmosfera che mi era riuscito di creare in quel dipinto doveva servire come sfondo a un’idea, ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce, quando d’un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell’ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei più famosi, era terminato”.  (Salvador Dalì, La mia vita segreta, 1942)
 

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