Nel dicembre del 1919, lasciando Parigi per New York,
Duchamp porta un dono ai suoi amici e mecenati Louise e Walter Arensberg: un
ready-made, un souvenir particolare, denominato Air de Paris. Un
ready made è un oggetto di uso comune prelevato dal suo contesto quotidiano ed
esposto come opera d’arte senza ulteriori interventi da parte dell’artista, se
non l’atto mentale. Il primo a proporlo fu proprio Marcel Duchamp con la ruota
di una bicicletta appoggiata su uno sgabello ed esposta come opera d’arte. Duchamp
per questo souvenir acquistò una fiala vuota
da un farmacista a Parigi e la riempì di
aria parigina per donarla ai suoi amici. Una fiala con niente, l’aria
non si vede né si sente, un’opera d’arte che non esiste. Eppure questa fiala
diventa arte in quanto Duchamp ha l’idea di affermare che dentro c’è l’aria di
Parigi, e sta dicendo la verità, perché l’ampolla è stata riempita a Parigi e
cosa c’è mai di più bello che portare come souvenir l’aria e il profumo della
città. Inoltre ha riempito la fiala
con l’aiuto del farmacista ha quindi creato una specie di alchimia. Soffermarsi
sul valore inutile ma allo stesso tempo ossessivo del souvenir, mi sembra d’obbligo,
anzi mi domando se i tanti turisti o viaggiatori che si portano a casa in un
vasetto la sabbia di una spiaggia lontana o l’acqua del mare siano degli
epigoni dell’artista oppure degli ossessivi/compulsivi. Non bastava la mania
dei tanti collezionisti di francobolli, orologi, monete, gufi, ecc., no Duchamp ci ha creato oltre ai souvenir
classici anche i souvenir delle bottigliette di aria. Mi chiedo se la creazione
di nuove idee, se benefica da una parte non crei all’opposto dei problemi,
forse il rovescio della medaglia esiste anche con le idee e le fantasticherie. Nel
1949, l’ampolla si ruppe e venne riparata, creando un ulteriore domanda, l’aria
è ancora quella di Parigi?
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