giovedì 2 aprile 2009

COMMENTO DI PIETRO D. PERRONE SU EMANUELE SEVERINO


Severino. Ho letto tanto di Severino, tanti libri suoi, forse sei o sette ed altri ancora ne ho in biblioteca.
Io mi sono fatto un'idea del suo pensiero, che è questa.
Lui analizza il pensiero filosofico che va dai greci ed arriva fino a noi. Grazie a questa analisi arriva a due conclusioni (o punti di partenza per nuove riflessioni, se si vuole).
La prima. Il pensiero occidentale (il pensiero filosofico da Platone in poi, nella linea tradizionalmente occidentale) ha tradito le radici da cui nasceva. Quelle radici stavano nella filosofia di Parmenide, che affermava un'idea di verità assoluta, vera, fondata su un concetto di Essere (tutto ciò che è) totalizzante, onnicomprenvivo. Come dire che ciò che è deve essere sempre tenuto presente nella sua interezza, anche se ne prende in considerazione solo una frazione, come un albero, per esempio. In questo modo, quando si pensa ad un albero si pensa contemporaneamente a tutto ciò che esiste, in cui è compreso anche l'uomo che pensa. La filosofia occidentale invece pensa le cose distintamente, separandole una dall'altra. Così, da un lato, l'uomo ha la possibilità di appropriarsi di tutte quelle cose, può usarle, ed usandole può diventare padrone del mondo. Come dire, che partendo dall'uso della prima pietra come utensìle, o del fuoco come tecnologia, si è arrivato alla scienza ed alla tecnica moderne.
La seconda. conclusione. Partendo dall'idea di scienza e tecnica appena detta, egli dice che la nostra epoca contemporanea è caratterizzata da un fatto nuovo. E cioè che la potenza, la forza (ed anche, direi io, l'appeal) della scienza e della tecnica sono diventati tali da aver sottomesso interamente il pensiero filosofico anche quello occidentale .
E poichè la scienza non offre alcuna Verità, ma soltanto transitorie certezze sperimentali, l'uomo è rimasto nel Nulla. Intendo dire che, se la filosofia era nata presso i Greci per cercare la Verità, per trovarla su basi di certezza razionale inconfutabile e non con la forza della tradizione o con l'abbagliante instabilità del pensiero mitologico, la fine del processo cui si è arrivati oggi sarebbe un chiaro fallimento. L'uomo, dice Severino, ha bisogno di certezze e Verità. Ma nessun pensiero, dice lui, nè quello religioso (metafisico, come credo lo chiami lui), nè quello filosofico, nè quello scientifico-tecnologico è in grado di soddisfare questo bisogno.
Questo in sintesi (profana) la sua idea. Fin qui, direi che ciò che dice coglie nel segno, descrive bene e con acume la realtà.
Io però ho molti dubbi da qui in avanti. Cosa c'è in alternativa al pensiero Occidentale? Negare sè stessi, la propria civiltà, pur vedendone i limiti, mi pare quasi un paradosso. Potrebbe essere come desiderare di suicidarsi per assumere altre sembianze. Troppo pericoloso. E poi, chi dovrebbe indicarci la via? E verso dove? Lui, al riguardo non è affatto chiaro, non si propone neanche, a dire il vero, come una guida.
E poi, l'Essere di Parmenide, non voglio dilungarmi davvero troppo in questo commento, vi annoierei da morire, ma io al riguardo ho l'impressione che quell'Essere sia pura metafisica. Un specie di altro Dio, non ultraterreno, non infraterreno, non il dio della Ragione, nè quello della Scienza e della Tecnica. Ma il Dio del Tutto. Che ha bisogno dei suoi sacerdoti, degli officianti, dei riti. Perchè un inestricabile, immobile, eterno Essere, sferico, pieno di sè dappertutto, senza distinzioni nè divisioni, di cui possiamo avere solo raffigurazioni estemporanee, apparenze fallaci, un Essere di tal fatta potrà essere spiegato agli Ignoranti non filosofi solo come fosse un altro Dio.
Però Severino è affascinante per la lucidità della sua analisi. E' cristallino nel lasciar passare la luce delle critiche al pensiero Occidentale. Fino alle conclusioni che ci vedono in balia di un apparato Scientifico-tecnologico sempre più potente e che si sta strutturando come apparato di potere, che scaccerà e distruggerà ogni altro apparato di potere ideologico.

Ma io penso che essere laico, ermeneutico, socratico, dubbioso, ci può difendere. Laicità vuol dire non credere fideisticamente a chi dice di essere un Profeta di Verità. Il laico diffida di qualunque profeta.
Il laico ragiona, cerca di capire, si assume la responsabilità delle proprie azioni. E' disposto a pagare le conseguenze del proprio agire. Non delega ad un Aldilà, ad un Giudizio successivo (universale o parziale), la valutazione delle proprie azioni. Può sbagliare, e lo sa. Ed è pronto a ricredersi non appena si accorge di un suo errore, sia se gli è mostrato (l'errore) dalla propria coscienza, o da quella civile, o da quella di qualunque altro essere umano. Ha rispetto di sè, degli altri, anche di quelli che devono ancora arrivare, della natura di cui è consapevole di essre solo un'infinitesima particella...

11 commenti:

Gaetano ha detto...

DIO APPESO AL CHIODO

Avevo in animo di replicare al commento di Pietro sul professor Emmanuele Severino, ma sapendo che poi sarebbe diventato un post, ho rimandato.
Ora che è in bella vista questo scritto che lodevolmente ha disposto Pietro, sappiamo del pensiero di Severino che riassume nel modo seguente: «L'uomo, dice Severino, ha bisogno di certezze e Verità. Ma nessun pensiero, dice lui, né quello religioso (metafisico, come credo lo chiami lui), né quello filosofico, né quello scientifico-tecnologico è in grado di soddisfare questo bisogno.». Di qui lo svincolo da questa filosofia da parte di Pietro a buon ragione, infatti si domanda «Cosa c'è in alternativa al pensiero Occidentale? Negare sé stessi, la propria civiltà, pur vedendone i limiti, mi pare quasi un paradosso. Potrebbe essere come desiderare di suicidarsi per assumere altre sembianze. Troppo pericoloso. E poi, chi dovrebbe indicarci la via? E verso dove? Lui, al riguardo non è affatto chiaro, non si propone neanche, a dire il vero, come una guida.»
Tuttavia non manca di essere affascinato dalla lucidità dell’analisi cristallina di Severino, «fino alle conclusioni che ci vedono in balia di un apparato Scientifico-tecnologico sempre più potente e che si sta strutturando come apparato di potere, che scaccerà e distruggerà ogni altro apparato di potere ideologico.».
Ma Pietro non demorde dalla sana convinzione che la soluzione sta proprio nell’«essere laico, ermeneutico, socratico, dubbioso», e questo può servire a difenderci.
Fin qui tutto ora colato anche secondo me, ma serve il sorpasso, serve valicare forse ancora ignote colonne d’Ercole, a quanto pare. Tant’è che la stessa amica Paola non manca di riportare sul suo disegno numeroso punti di domanda.

Proprio questa mattina ho rilasciato un commento ad una professionista di studi esoterici in merito ad un’opera d’arte, famosa quanto lo è ancora la Gioconda di Leonardo, Melencolia I di Albrecht Dürer, ritenuto il Leonardo del Nord, essendo nato e vissuto in gran parte della sua vita a Norimberga. Il tema che qui si rivela è il superamento allo stato di melacholia che quasi distrugge l’animo dell’artista, ma anche tutti gli intellettuali come lui. Ma se dico questo è perché l’umanità cui si riferisce l’amico Pietro è come fosse preso, o stia per esserlo, da una sorta di melancholia di gruppo. Il testo che seguirà si riferisce all’incisione su lastra di rame di Albrecht Dürer che sarà facile trovare sul web perché è necessario vederla per capire ogni cosa detta da me.
Il link del post a commento é: L’Angelo della melancolia scritto da Marta Breuning.

Cara Marta,

il «putto angelico (non tanto putto ma piuttosto vecchio nell’aspetto) intento a scrivere – come lei dice –, metafora della “propriocezione” (?) delle sensazioni da cui ha origine il bisogno di scrivere, analizzare, pensare ed elaborare poesie, immagini, ecc...», invece è preso da tutt’altro intento. Chi non è stato preso dalla melancholia non lo può sapere. Non c’è altra cosa nel melanconico düreriano che uscirne fuori e piantarla con tutto ciò che lo ha fatto morire alla vita. Egli è stanco e non aspetta altro che appendere al chiodo, come si suol dire, la causa del suo stato che non sopporta più. Nelle mani del cosiddetto putto (un “bambino nato vecchio”, di taostica memoria), non c’è una penna, bensì un chiodo come quelli sparsi per terra nell’angolo in basso del bulino in questione. Presumibilmente l’oggetto da appendere ha la sagoma di una tavoletta munita di un cappio. Anzi è più di una, quasi a ricordare le famose tavole smeraldine oggetto simbolico di studi, fino all’inverosimile, delle cose alchemiche da parte di Albrecht Dürer che essere laico, ermeneutico, socratico, dubbioso, ci può difendere... A confermare questa mia visione è la disposizione del compasso nelle mani apparentemente distratte della donna presa dalle astrazioni mentali che la tormentano (la mente). Il compasso, diventato ora strumento di tortura, prima che era di piacere, è un simbolo che indica una freccia, giusto in direzione del foro delle tavolette da appendere accanto alla clessidra e alla campana che attende di essere suonata, ma dall’esterno così come vuole significare la corda nelle mani di... non si sa. Forse in un tempo futuro, tant’è che lasciò detto: «Ma lascerò al passare del tempo quel poco che ho imparato, affinché qualcuno migliore di me scopra la verità e col suo lavoro possa dimostrare e biasimare il mio errore. A quel punto tuttavia gioirò di essere stato un mezzo per cui questa verità è emersa.».

Se nota un’altra cosa, da tutti trascurata e anche da lei, è il gonfiore delle mani della donna alata e anche del putto in generale. È uno stato assolutamente anomalo che di solito è causato nelle persone che hanno fatto uso eccessivo di sostanze salate. Questo conduce a pensare alla continua attenzione e riguardo da parte dell’iniziato alle cose alchemiche, ma anche dell’ardente discepolo di Gesù, da parte di Dürer. Gesù disse ai suoi discepoli, “voi siete il sale della terra”. Dunque si può arguire che si tratta di una melancholia giunta alla saturazione.

Melencolia I è tutta da rivedere. Manca il segno della matematica giusto per il rintocco della campana. La firma di Albrecht Dürer ha un A che non sta solo per l’iniziale del suo nome, ma anche per alfa (alludendo al “simile d’uomo” dell’Apocalisse: noti che il bulino di questa serie di opere, quella che vede Giovanni inginocchiato davanti alla visione suddetta, ha la firma di lato e non al centro come tutte le altre). Ma, la cosa interessante è che questa A è sfacciatamente somigliante alla lettera pi greco. Ma non basta poiché in essa è collocata da D che sta per l’iniziale del suo cognome ma anche segno che indica porta, giusta l’etimologia del nome paterno Ayas di origine ungherese.

Dunque manca il filo conduttore (lo stesso allusivo della corda della campana) di pi greco per una geometria composita non tanto dissimile per procedura da quelle delle opere pittoriche rinascimentali. In tal modo si capirà l’azione della cometa simile ad un asteroide letale, se visto in prospettiva delle cose della morte da cui proviene.


Cordiali saluti,

Gaetano Barbella

Non manca a questa mia visione dell’uomo epocale saturo di “salinità”, il tecnicismo argomentato dal filosofo Severino, occorre che sia attaccato ad un chiodo, ma non che venga mortificato. Come si fa con le foto di un album di famiglia che fa piacere mostrare compiaciuti. Forse serve un altro esempio per capire l’antifona che viene offerta dal suddetto lavoro di Albrecht Dürer. Si tratta di un estremismo immaginato per la trama di un film di Olmi “Cento chiodi” . Rimando per la recensione di questa film del 2005, al link:
Dio appeso al chiodo.
A breve sarà pronto il mio lavoro su Melecolia I, del quale ho appena introdotto ad alcune nuove concezioni non contemplate finora dai critici d’arte.

Cari abbracci,
gaetano

Gaetano ha detto...

Subito dopo aver parlato delle tavole smeraldine, compare una frase senza senso che, ovviamente non deve contare. É questa: che essere laico, ermeneutico, socratico, dubbioso, ci può difendere...
Chiedo scusa.
gaetano

pierperrone ha detto...

Caro Gaetano, anche se stasera sono troppo sfasato, non posso evitare di rilevare una cosa.
Non ti seguo nel salto "alchemico". Per me l'irrazionale ha valore solo come chiave di interpretazione dell'uomo, per capire meglio il razionale. A ciò che è nascosto sotto i simboli preferisco la chiarezza del pensiero filosofico. Per interpretare i simboli, per vederli sotto la coltre che li copre, c'è bisogno di un maestro che conosce le cose nascoste.
Il filosofo invece non ha bisogno di interpreti o maestri.
Sia i maestri che i filosofi sbagliano, quando meno ce lo aspettiamo e quindi ognuno di noi deve porsi domande e non solo accettare risposte.
Quindi torno all'atteggiamento maieutico, socratico, della coscienza consapevole della fuggevolezza del sapere.
Ma non si può sfuggire al bisogno di sapere, si deve lottare per conoscere almeno qualcosa.

Durer. Sono certo che tu puoi aver offerto un'interpretazione innovativa dell'opera.
E sono convinto che il tuo commento corrisponda all'invito a guardare al di là delle apparenze, oltre il convenzionale.

E' esattamente quello che intendo io richiamando la laicità (in senso non proprio letterale, ma come via traversa, che vuole ancora discutere ogni verità ritenuta acquisita ed indiscutibile). Essere laico significa non accettare passivamente i maestri o i filosofi, ma farsi maestri e filosofi, avendo sè stessi come discepoli.
Comunicando al mondo con questa umiltà Socrate fu addirittura condannato a morte.
Perchè il dubbio (o il laico) mette paura, più di qualsiasi certezza, anche la più spaventosa.
Ma il dubbio (o il laico, se preferisci ancora) è più rispettoso dell'uomo di quanto lo possa essere ogni maestro o filosofo

utilizerapagain ha detto...

In un cosi' dotto consesso mi affaccio timidamente per affermare che si sta facendo della metafilosofia. Cioe' la filosofia della filosofia. Da non confondere con la filosofia della filosofia della filosofia.
Inoltre si sta facendo della metalaicita', cioe' della laicita' della laicita'.
Il prefisso meta, che fondamentalmente significa ''oltre'' e compreso tutto quanto sta sotto, salta fuori dappertutto negli scritti pubblicati da Teo. Si parla anche di metaetica, che cerca di individuare la provenienza dei nostri principi etici.
In parole povere si parla di filosofia della filosofia, e qui siamo in un ramo della filsofia; si disserta di filosofia della scienza, che pero' non e' un ramo della scienza o di filosofia della religione, che ugualmente non e' un ramo della religione, per non tacere della filosofia dell' etica, che ...

I due ''contendenti hanno anche introdotto il concetto ''verità'', mi lascio tentare...dal certame

Come osserva Bernard Williams all' inizio del suo ultimo libro, ''Genealogia della verità'', nelle societa' contemporanee coesistono due correnti in apparenza antagoniste. Da un lato, di fronte ai valori della razionalita', del progresso scientifico, della verita' e dell' oggettivita' la diffidenza non e' mai stata cosi' grande, tanto nelle cerchie intellettuali piu' progressiste quanto nei media e nella societa'; dall' altro l' impressione di essere ingannati dai poteri (politici, scientifici), che si supponeva dovessero garantire questi stessi valori, e il bisogno di fiducia non sono mai stati cosi' grandi.
Pascal Engel, docente di filosofia alla Sorbona, nel suo ''Verità'', si chiede ''Perche', se non si crede piu' nella verita', si ha tuttavia sete della verità?''.
Si tratta, secondo Engel, di uno di quei paradossi consueti per i quali, avendo perduto la religione, noi ne cerchiamo sempre un qualche sostituto, o, pur non accettando piu' l' autorita', non vogliamo rinunciarvi del tutto.
Michel Foucault, negli anni settanta, nelle sue lezioni al Collège de France, affermava che la nozione di verita' era soltanto lo stumento del potere e che, essendo ogni potere malvagio, la verita' poteva essere soltanto l' espressione di una volonta' maligna.
Ecco perche' noi giornalisti, che diciamo di avere a cuore le regole dedlla nostra professione e il dovere di non ingannare i lettori, siamo cosi' spesso indulgenti di fronte a quei pensatori che ci spiegano che verita' e razionalita' sono parole vuote.
Pascal Engel, nel novembre del 2002, parlando al Collège de philosophie della Sorbona, affermava che forse le persone, pur diffidando della verita' come ideale astrattro, come della cosa in nome della quale molti poteri pretendo di esercitare la propria influenza, aspirano alla verita' nella vita quotidiana. Forse, diceva, non si crede al vero come valore intrinseco, come scopo ultimo, e tuttavia si aspira al vero come valore strumentale, al servizio di un altro fine, la felicita' o la liberta'.
No ci piaciono, sosteneva, i predicatori che parlano in nome del VERO, ma ci preoccupiamo di verita' banali, come quelle che ci ragguagliano periodicamente sull' estratto conto della banca.
Credo che non ci si debba limitare a contrapporre da un lato i neoplatonici, i postmodernisti, i relativisti e coloro che credono che la verita' sia una parola vuota - quelli definiti da Pascal Engel ''verofobi'' - e dall' altro i difensori degli ideali ''scherniti'' dai primi.
Il risultato, per Engel, e' prevedibile: non soltanto ciascun partito mantiene a oltranza le proprie posizioni, ma per di piu' entrambi finiscono per somigliarsi: quelli che attaccano la verita' e la ragione perche' sono valori oppressivi (i valori masschili, per esempio, nelle polemiche femministe) finiscono con l' essere tanto puritani quanto i loro avversari.
Mi fermo perche' sicuramente sto facendo metaverita' della verita'.
Per saperne di piu' vi consiglio ''A cosa serve la verità?'', di Pascal Engel e Richard Rorty, il Mulino.
I due filosofi dibattono su cosa e' la verita e quyale e' il valore che dobbiamo attribuire ad essa. Interrogativi che al di la' del dibattito filosofico investono molte altre sfere - forse tutte - della vita pubblica e privata.
Michel Foucault, ''L' ermeneutica del soggetto: corso al Collège de France (1981-1982)'', Feltrinelli.
Marcel Detienne, ''Maestri della verita' nella Grecia arcaica'', Laterza.

Paola Tassinari ha detto...

Caro Gaetano , sicuramente le tue nuove teorie sulla " melancolia" saranno interessanti, tra l' altro anche allora i tempi erano duri, finiva il Rinascimento e si apriva il tempo incerto delle guerre. Il chiodo,mi ha fatto scattare nella memmoria, il chiodo del grande metafisico : De Chirico ( il guanto di plastica rosso appeso con un chiodo) anche allora i tempi erano duri, finiva una guerra e se ne stava preparando un' altra ancora più catastrofica. Il film " Centochiodi" gran bel film , Olmi è una garanzia. Anche qui i chiodi, ...appendere ad un chiodo, non dimenticare, appendere ad un chiodo, fare altre esperienze, verificare ed in caso di bisogno staccare dal chiodo....io la vedo in questo senso...lasciare in attesa...decantare. Due parole per i personaggi, che vivono lungo il Po,io questi personaggi li ho conosciuti, sono nata in un paesino di campagna, li ho conosciuti ed amati, ora non ce ne sono più, si sono estinti, si sono estinti tra i lazzi e le derisioni dei benpensanti, di chi si credeva superiore perchè aveva la tecnologia e loro restavano ancorati al loro mondo ......loro erano ingenui e sinceri, non sio nascondevano dietro masdchere e quindi alla fine chi ha vissutoi veramente? chi vive come è o chi vive mascherato? Ciao.

Paola Tassinari ha detto...

Caro pier Luigi,gli interventi tuoi, di Pietro , di Gaetano , sino a poco tempo fa li avrei classificati come dono dei miei "antenati" per i miei sforzi di essere buona e corretta. Io non so come sono gli altri, io ho bisogno di cercare la verità o cosa non so , ma devo cercare, solo che dopo che ho trovato, quando devo abbandonare il momento è tragico....è da questo inverno che sono messa così....sto aspettando una nuova verità. Non voglio annoiarvi, forse scrivo più per me stessa , per fare il punto. Da bambina, andavo a messa molto spesso con la nonna , e la mia prima verità è stata la religione , è durata questa mia fede sino circa ai 17anni ( quando io credo , credo e non vi dico i sensi di colpa e la vergogna per aver fatto l' amore senza il vincolo del matrimonio)Poi l' ho buttata a mare perchè anche aggrappandomi ai fili più sottili era ormai insostenibile, la mia nuova verità è stata la sinistra, il Che il mio mito, i Nomadi la mia musica,( quando io credo , credo,lavoravo in fabbrica e quando passava " il padrone"smettevo di lavorare per fare vedere che lui usufruiva delle nostre braccia e guadagnava troppo , in fin dei conti lui metteva il capitale ...ma senza braccia che avrebbe fatto.Guardavo con sprezzo i ricchi e volevo essere come don Milani)Ho dovuto buttare a mare anche la sinistra, non ci credevo più.A 35anni la mia nuova verità è stato il potere salvifico della cultura e del sapere unito alla trascendenza dell' arte ( e io quando credo , credo, quindi studia, studia, conferenze, coferenze, lezioni, lezioni, sindrome di Stendhal ero arrivata al punto di riuscire a perdere la cognizione del tempo, ad essere come ipnotizzata, se volevo potevo estraniarmi ed entrare in empatia col mio "dna" ascoltare i miei antenati e da loro avere aiuto psicologico, così potevo accettare il nulla, ritornare al nulla , ritornare al "tutto" di Parmenide.Ma a forza di estraniarmi ,( senza l' aiuto di nessuna droga, mai fumato neppure uno spinello,) a momenti " davo i numeri" ed ora sono in una fase in cui osservo e tutto mi sembra vuoto . Bè basta , in questi giorni sono una lagna che più lagna non si può. Ciao miei prodi ed eruditi commentatori.

Pier Luigi Zanata ha detto...

Ciao erudita ospite.
Che cosa e' la verita? E qual' e' il valore che dobbiamo attribuire ad essa?
Interrogativi che al di la' del dibttito filosofico investono, come tu scrivi, molte altre sfere - forse tutte - della vita pubblica e privata.
C' e' chi dubita che tale nozione possa essere di qualche utilita' e mostra i pregiudizi che essa cela sia intellettualmente sia socialmente.
Altri, inclini a una concezione realista, difendono il valore della verita' come norma della credenza e della ricerca, nella scienza come nel dominio pubblico.
Per gli uni e' piu' pericoloso farvi ricorso che non sbarazzarsene.
Per gli altri l' importante e' tener ferma l' idea che la verita' e' una rappresentazione accurata della realta'.
Il SK cerca una socia.Spedisco una lama?
Buona fine settimana.
Vale

Pier Luigi Zanata ha detto...

Teo pensa alla combinazione che e' capitato mentre postavo il commento:
la parola chiave da digitare era
VALECOL
Ciao collaboratrice
Buona serata.
Vale

Paola Tassinari ha detto...

Caro Pier Luigi, dici che è terapeutico fare Sk ? Può essere una buona idea, ma io cosa potrei donare? E' questo il punto non so cosa potrei donare, intanto mi hai dato l' idea per un post, che pubblico subito.Ah ! Non sarebbe male che Sk andasse a scuola da tuo figlio, per vivacizzare gli amplessi sessuali, Sk è un signore, qualche volta potrebbe essere un po' pulp, che ne dici?Buona domenica.
PS Ti hanno portato a messa ?(domenica delle palme , benedizione dei bambini)Sì perchè ti ho scoperto, tu nell' animo sei ancora un fanciullo,tieniti stretto questo animo che è un dono. ( ecco potrei uccidere prima che l' uomo perda questa parte d' animo che ne dici?)

Pier Luigi Zanata ha detto...

Saro' un fanciullo come tu scrivi, ma la domenica delle Palme per me, anche da bambino, e' stata sempre una domenica come le altre.
Negli ultimi due post i miei amplessi si sono vivacizzati, colme tu chiedi.
Dovrei essere un po' piu' pulp?
In un nprossimo racconto cerchero' di esserlo.
Felice e radioa domenica.
Vale

Anonimo ha detto...

Il problema che Severino ha sollevato è sorprendente, ma ciò non significa negare la cultura occidentale, semmai permettere al dubbio di intaccare il nostro senso comune. In caso contrario, è altrettanto assoluto e insieme un bel dilemma per coloro che al tempo stesso non vogliono sentire parlare di verità assolute ...