lunedì 30 novembre 2009

DAL PARADISO ALL' INFERNO... OVVERO LA STRADA PER L' INFERNO È LASTRICATA DI BUONE INTENZIONI

JOCHEN HORISCH, 55 anni, è docente di Letteratura e teorie mediatiche all' Università di Mannheim( Germania)

Professor Horisch, per quale motivo gli uomini in molte culture immaginano dei paradisi non reali?

Nella maggior parte dei casi queste fantasie non si allontano molto dalla realtà, da un’esistenza che, sia ringraziato il Cielo, per ora è possibile vivere anche sulla Terra. L’ unica differenza è che nei paradisi non ci sono i lati negativi della vita umana, quali la transitorietà, la malattia, la morte.

Dunque i racconti sul paradiso non parlano di mondi sconosciuti?

Raccontano principalmente di ciò che esiste ma che al momento non abbiamo, e che desideriamo. Niente è più bello del pensiero di una gioia futura. Il racconto del paradiso inscena quindi, come tutti i grandi miti, una costante antropologica, in questo caso la logica del desiderio e della bramosia, e da un volto ad un futuro migliore.

Come è sorta nell' uomo questa idea di felicità futura?

Con lo sviluppo della lingua. Da quando l’ uomo ha a che fare con la lingua, vale adire con un sistema di segni e simboli, è divenuto in grado di andare col pensiero al di là della sua esistenza materiale intangibile, e quindi di andare col pensiero nel futuro. Non per niente il Vangelo secondo Giovanni esordisce dicendo: "Nel principio era la Parola". La capacità stessa di immaginare il paradiso trova qui le proprie origini.

Si è sempre cercato di ricreare il paradiso sulla terra. C’ è una spiegazione per questo?

Ogni tentativo di fare il copia e incolla dei concetti teologici del paradiso applicandoli alla realtà terrena è finito in tragedia. Primo perché queste società sono necessariamente totalitarie. Secondo, perché la perfezione si crea solo negando l’ imperfetto. Poiché nella vita reale ciò non potrà mai accadere, occorre trovare dei colpevoli: i capitalisti o gli ebrei o la Casa Bianca o non so chi altro. Persecuzioni e sterminio non sono fenomeni collaterali, ma il fulcro di ogni tentativo realizzare il paradiso in Terra. È per questo che i protagonisti di tali eccessi sono sempre orgogliosi di poter offrire delle vittime a questo scopo.

Sarebbe quindi meglio rinunciare alle nostre speranze?

Sarebbe meglio non ci fissassimo così sulla liberazione dei mali, e accettassimo l’ imperfezione originaria di questo mondo. Invece di farci fantasie esagerate sul paradiso sarebbe più utile lavorare ad un programma di seri aiuti messi in pratica secondo l’idea di uno Stato sociale. Cercare la risoluzione concreta di singoli problemi come alcune malattie o la povertà, invece di voler liberare complessivamente l’umanità intera.

Da un articolo sul mensile Geo.

6 commenti:

giardigno65 ha detto...

una bella intervista !

Paola Tassinari ha detto...

Sì a me è piaciuta molto.......inquietante quell' eliminare l' imperfetto, ieri era l' ebreo ed oggi ?
La mia risposta è che siamo tutti imperfetti...a voi la risposta.
Ciao Giardino .....ora vengo a leggere il tuo ultimo racconto....uao chissà cosa hai scritto sulla FINE DEL MONDO.

giardigno65 ha detto...

ciao teodorica il video è una incredibile ricostruzione che mette in relazione le emissioni con il peso dell'animale: è incredibile vero ? (planetstupid.com)

Gaetano Barbella ha detto...

«...sarebbe meglio...
Cercare la risoluzione concreta di singoli problemi... »

Aderisce perfettamente a questa riflessione il mio commento alla presentazione, sul blog web 2.0 something elese, del libro ALI TARPATE di Annamaria Tanzella.
Ometto per brevità l'inizio, vedi qui.

...Prima domanda fra me e me: "perché scriviamo". Una domanda che mi riporta alla stessa di un post del momento del blog "Laboratorio di scrittura" dell'amica Maria. Ecco l'affacciarsi di un intreccio appena ramificato ma che via via si intensifica ed è ciò che poi porta all'eventuale decisione di comprare il libro in questione e leggerlo. Lo scienziato Gregory Bateson chiama questa sorta di rete, "ecologia della mente", giusto il titolo del suo magistrale libro.

"Ali tarpate", in relazione a Clarissa del libro, porta a concepire un preciso "perché" dello scrivere, e qui un altro parallelo sorgente che mi fa pensare alla storia dell'americana Wilma Rudolph, nata nel 1040. Era di una famiglia di gente povera anche se grandi lavoratori: lei e i suoi fratelli avevano i vestiti fatti coi sacchi di farina. Poco tempo dopo la nascita, fu colpita da poliomielite e il medico che la visitò nel Tennessee fu drastico nella diagnosi: "Questa bambina non camminerà mai". Ma non fu così perché nonostante tutte le difficoltà fisiche iniziali, Wilma Rudolph e sua madre, diedero un gran lezione di carattere e di tenacia a tutto il mondo. In particolare, a tutte quelle persone che pur avendo avuto molto, dalla vita, continuano ogni giorno a lamentarsi per delle cose futili e banali.

La gente non si rende conto della fortuna che ha, delle cose belle di cui può godere ogni giorno. Eppure, si soffermano unicamente su quello che manca loro. Cose insignificanti, senza peso, senza valore. Senza apprezzare la "vera ricchezza" che hanno già.

Conosciamo la resurrezione di Wilma che imparò la bellezza del correre più veloce del vento. Alle Olimpiadi del 1960 di Roma, Wilma conquistò il mondo vincendo molti titoli, ma, arrivò comunque il giorno del rendiconto per le sue grandi impresa costata enormi rinunce dispendi di energie psichiche, e così venne stroncata dal cancro a 54 anni. Morì colei che fu chiamata la regina nera di Roma.

Di riflesso già il solo titolo e logo del libro "Ali tarpate", non vuol dire che è una condanna capitale perché la vita è solo una questione di scelte che ci permettono di elevarci. E tutto è relativo. Tuttavia occorrono esempi fulgidi di grandi donne come Wilma Rudolph. Anche grandi uomini ma è vero anche che questi hanno sempre beneficiato di grandi forze fisiche soprattutto. Le donne invece solo ora riescono a emergere competendo alla pari in tanti campi della vita sociale, politica e del sapere scientifico e umanistico. Oggi è di scena una grande donna del passato, Ipazia d'Alessandria, straordinaria mente scientifica che pagò col martirio la sua fama. Un certo cancro pronto a misura di certi esseri eccelsi.

«La forza miracolosa che permette a pochi di elevarsi al di sopra dei più deve essere ricercata nell'intraprendenza, nell'impegno e nella perseveranza dei primi, sotto la spinta di uno spirito determinato e coraggioso». Mark Twain.

"Perché si scrive"? Prima d'altro perché si sa già in partenza ogni cosa della "poliomielite" da fronteggiare. Giusto come risponde l'autrice di "Ali tarpate", Annamaria Tanzella, all'intervistatrice Gloria M. Ghioni [Anathea]:

«Il titolo "Ali tarpate" è nato ancor prima che incominciassi la storia che era dentro di me in ogni poro della mia pelle; il titolo secondo me è quello più appropriato per gli ostacoli affrontati e gli obbiettivi vanificati dagli eventi.»

Gaetano

Paola Tassinari ha detto...

Grazie Giardino, il video era incredibile, devo darti atto che sei veramente straordinario nello scovarli, oltre che sardonico nei tuoi scritti.
Chapeau.

Paola Tassinari ha detto...

Gaetano tu hai colto il perchè ho messo questo post.Io non dico prima ciò che penso io di quello che "posto", perchè mi piace rifletterci sopra con chi commenta......«...sarebbe meglio...
Cercare la risoluzione concreta di singoli problemi... »
"Ali tarpate", non vuol dire che è una condanna capitale perché la vita è solo una questione di scelte che ci permettono di elevarci. E tutto è relativo.

La gente non si rende conto della fortuna che ha, delle cose belle di cui può godere ogni giorno. Eppure, si soffermano unicamente su quello che manca loro. Cose insignificanti, senza peso, senza valore. Senza apprezzare la "vera ricchezza" che hanno già.
Ho riportato parti del tuo commento perchè penso che è sempre la stessa storia si aspetta, si cerca il paradiso, lo si costruisce addirittura artificiale, si deve eliminare l' imperfezione a tutti i costi e poi, poi, poi forse dovremmo trovare lo stesso entusiasmo e la stessa forza dei bambini che vanno, vanno, curiosi, pensate un po' quante cadute per imparare ad andare in bicicletta, ma si imparava così semplicemente senza voler essere un altro, senza voler essere eroi, così semplicemente con entusiasmo.
Ciao Gaetano.