sabato 11 marzo 2017

VIAGGIO IN FRANCIA XV


Mio figlio, aveva assicurato a me e a sua moglie che l’accesso al castello di Peyrepertuse sarebbe stato assai agevole senza nessuna arrampicata, perciò la moglie aveva indossato uno di quegli abiti lunghi sino ai piedi, che vanno di moda oggi, era di un tessuto leggero e perciò fresco e adatto a questi giorni di canicola. Quando siamo arrivati al parcheggio e abbiamo pagato l’ingresso al botteghino, ci siamo resi conto che la salita sarebbe stata impervia e lunga, un percorso per sole capre, e non capre addomesticate, ma capre di montagna; mia nuora con la grazia di una principessa, ma lasciatemelo dire lei lo è per aspetto esteriore ma soprattutto per quello interiore, si è fatta tutta la salita, della durata di un’ora, e poi la discesa in abito di colore giallo, lungo sino ai piedi, non dimenticando di aiutarmi nei punti più impervi, questo è il ricordo che mi è rimasto più impresso. Quando sono giunta in cima, mi sono buttata lunga e stesa all’ombra del bastione centrale su un tappeto di muschio fitto e ispido, ristorata dalla brezza, non sono stata più capace di rialzarmi e di visitare questa possente fortezza assai grande che si mimetizza fra gli impervi sassi. Sullo spiazzo davanti ai ruderi c’era uno spettacolo sulla falconeria, mentre osservavo l’abilità dei falconieri a “comandare” il volo dei rapaci, mi domandavo come facevano a sopportare quel caldo terribile, in quanto erano vestiti di pelle con tanto di pantaloni lunghi e camicione… la forza della passione! Il “gioco” della falconeria era paragonato, da Federico II, alla tecnica della guerra, fu nel Medioevo altamente considerato, e come un lampo, mi ricordo del mio romanzo “Ar var alda”, dove parlo dei monti Sibillini, dove esiste appunto una Scuola di falconeria, mi sento in pace e a casa. Però, guardando i falconieri che vestiti di tutto punto giostravano agili, mi dicevo: “Alzati e vai”, sì avrei tanto voluto inerpicarmi sulla stretta e ripida scala detta “di San Luigi”, infatti fu creata su mandato del re Luigi nel 1242, scavata nel fianco nord della roccia, l’accesso al castello fu ed è solo a piedi, neanche a cavallo si poteva entrare; e visitare i resti della Cappella Sant Jordi (San Giorgio), ma proprio non ce la facevo neanche a muovere un dito, così stavo stesa sul prato in beatitudine, guardando il pazzo che stava salendo di corsa su quei gradini scoscesi, per scoprire poi, che il folle era mio figlio. La fortezza di Peyrepertuse distende la sua lunga silhouette come una grande nave mimetizzata fra lo sperone roccioso, anzi sembra proprio far parte del monte senza distinzione di continuità; contrariamente agli altri castelli catari, non conobbe mai, in tutta la sua storia le peripezie della guerra. Dopo questa fatica, ci siamo diretti verso il vicino castello di Quéribus, un altro nido d’aquila, arroccato e mimetizzato su uno stretto sperone roccioso, appartenne alla famiglia “Cucugnan” i cui appartenenti furono strenui difensori dei catari, l’ultimo bastione bastione di Quéribus cadde in mano ai crociati, undici anni dopo la caduta di Montségur. Per visitare il castello occorre inerpicarsi ancora come capre, perciò io mi rifiuto di salire, aspetterò in auto, ma i miei compagni, seppur più giovani, decidono di ammirare il castello dal basso e di evitare così un’altra fatica d’Ercole… in quanto dicono che in alto non ci sono altro che rovine e che l’importante è “respirare” e “incamerare” i luoghi sacri della natura.

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