martedì 24 febbraio 2009
MEGLIO CHE UN UOMO INASINISCA , O CHE UN ASINO INUMANISCA?
"O messere sappime dire e resolvimi un poco, qual cosa delle due è più degna, che un uomo inasinisca o che un asino inumanisca? Ovviamente, chiunque opterebbe per la seconda alternativa ma Franco Manganelli, nel suo saggio "LA CABALA NOLANA DIALOGHI SULL'ASINITÀ DI GIORDANO BRUNO", sostiene e dimostra con argomentazioni convincenti che, a leggere attentamente il saggio bruniano, la risposta non è per niente scontata. Egli, infatti, è convinto che "dove i filosofi naturali hanno parlato più apertamente, quivi hanno parlato più oscuratamente" giunge alla conclusione che "l'ascenso" dall'asino all'uomo e "il descenso" dall'uomo all'asino, per Giordano Bruno, siano fasi di un unico processo circolare ed evolutivo che conduce dall'ignoranza alla conoscenza sempre più ampia e profonda "inumanimento", per il tramite della presa di coscienza che ogni livello conoscitivo raggiunto è sempre parziale e, quindi, inadeguato "inasinimento". Di qui l'invito dello stesso Nolano "forzatevi , forzatevi dunque ad esser asini , o voi, che siete uomini". Bruno distingue due modi dell' asinità. Uno sia in coloro che si rassegnano alla condizione asinina, sia in coloro che, promettendo in cambio l'ingresso in Paradiso inducono i fedeli ad accettare passivamente qualsiasi angheria, a sottomettersi sotto capi prepotenti costringendoli a rassegnarsi al negativo della vita. L'altro modo di essere asini è quello di riconoscersi tali e, contemporaneamente, di inserirsi nel processo circolare virtuoso tra ignoranza e conoscenza che consente un graduale cammino verso la verità.
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8 commenti:
L'ASINO NEL POZZO
Il dilemma sull'asino porta a raccontare una storiella sull'asino riportata tempo fa da molti blogger per imbastire motivi di dialogo che è questo:
«Un giorno l'asino di un contadino cadde in un pozzo. Non si era fatto male, ma non poteva più uscirne. L'asino continuò a ragliare sonoramente per ore, mentre il proprietario pensava al da farsi. Finalmente il contadino prese una decisione crudele: concluse che l'asino era ormai molto vecchio e che non serviva più a nulla, che il pozzo era ormai secco e che in qualche modo bisognava chiuderlo. Non valeva pertanto la pena di sforzarsi per tirare fuori l'animale dal pozzo. Al contrario chiamò i suoi vicini perché lo aiutassero a seppellire vivo l'asino.Ognuno di loro prese un badile e cominciò a buttare palate di terra dentro al pozzo. L'asino non tardò a rendersi conto di quello che stavano facendo con lui e pianse disperatamente. Poi, con gran sorpresa di tutti, dopo un certo numero di palate di terra, l'asino rimase quieto. Il contadino alla fine guardò verso il fondo del pozzo e rimase sorpreso da quello che vide. Ad ogni palata di terra che gli cadeva addosso, l'asino se ne liberava, scrollandosela dalla groppa, facendola cadere e salendoci sopra. In questo modo, in poco tempo, tutti videro come l'asino riuscì ad arrivare fino all'imboccatura del pozzo, oltrepassare il bordo e uscirne trottando».
Ed ecco un mio primo commento misticheggiante:
Questa storiella sull'asino, come altre del genere che lo dipingono d'oro, è un invito a commenti di ordine non tanto condivisi in quest'epoca materialistica delle grandi libertà. L'asino è l'uomo che merita di trovare collocazione su un piano nobile per la sua valenza intellettiva abbastanza diffusa. Ma resta l'amore altruistico da esprimere che vacilla. Persino per Gesù Cristo, accolto festante a Gerusalemme ma conscio del sacrificio cui andava incontro, ci fu bisogno del "somaro" da cavalcare con mestizia e sottomissione, poiché questo doveva costituire l'anteprima del suo mandato di conversione spirituale. E se promise di restituire il "somaro" "dopo", di certo intendeva alla fine del suo mandato di luce per gli uomini a cominciare dai suoi apostoli. Oggi forse questo si compie, come del resto è profetizzato nel Vangelo di Giovanni. Dunque tocca all'uomo far uso dello stesso genere di "somaro" cavalcato da Gesù Cristo, perché si moderino in lui gli istinti bellicosi e smodati».
Però è interessante quest'altra mia versione sull'asino nel pozzo, state a sentire:
L'asino è la bestia in noi che, al suo limite è in fondo la materia inanimata, ma non lo è per virtù di un provvidenziale dinamismo: l'amore in tanti svariati modi peculiari. Ecco per l'asino, il modo meraviglioso di costituirsi quale "macchina vivente". La testa del suo di sopra (del «pozzo»: l'abisso apocalittico) che decide ogni cosa (il contadino) e il corpo del di sotto (l'asino, la "macchina"). E se si scomoda il sommo Poeta Dante ci farà capire che, prima d'altro, il pozzo è il «pertugio» da superare ma in salita, però impropriamente. Perché impropriamente? L'uomo, per quanto si evolva, resta sempre nel buio in relazione al mistero della vita e prevalendo in lui il misticismo, il surrogato per accettare questa condizione, finisce per credere che la "terra" che piove su di lui (quella del racconto dell'asino) sia la provvidenza divina per ascendere a lui (Adamo ed Eva non furono fatti in questo modo?). Ma la provvidenza divina, per modo di dire, è anche quella del sistema in cui viviamo che ci sovrasta in tanti modi. Dante, alla fine della sua opera, che vuol essere «divina» ma che è anche una «commedia», ci addita finalmente «l'amor che move 'l sole e l'altre stelle». Astri metafisici o ancora quelli dei nostri giorni diurni e notturni? Verrebbe da dire: astri da commedia? Buoni o cattivi che siano questi, fatto sta che si finisce, giorno dopo giorno, per essere rimandati in continuazione «Nel mezzo del cammin di nostra vita». Il nostro io è come quel contadino che è capace anche di decidere ai danni di sé stesso, nel suo asino finito nel pozzo. Non è così che tanti decidono di farla finita al punto di ricorrere al limite al suicidio? L'epilogo del racconto in discussione porta alla consapevolezza di una certa emersioni in noi del nostro "asino" che a questo punto può anche meravigliare perché è «parlante», ovvero è istruito. Infatti vediamo le moderne generazioni sono di gran lunga evolute rispetto al passato in fatto di capacità intellettiva, per esempio. Non senza certi rovesci da far arrossire se non vergognare o al contrario inorridire: è «l'asino» e nessuno se ne dolga perché è in lui «L'alto fattore» della «Città dolente», ci direbbe per concludere l'amico Dante con la sua Commedia. Era scritto, ma non si capiva: «Dopo questi (la bestia, il diavolo, satana) dovrà essere sciolto per un po' di tempo» (Ap 20,3).
Gaetano
Cara Paola, non solo Bruno, ma addirittura il buon vecchio Socrate viene richiamato dalle tue parole.
Siamo al meglio di quello che gli esseri umani hanno messo nel piatto.
Il pensiero libero dai condizionamenti del potere, non importa se di quello politico o di quello religioso. Lui era per il pensiero libero, che immaginava infiniti mondi, in infiniti universi.
Ed il pensiero che, umile, grazie alle domande, al dubbio di Socrate, si mette a disposizione degli uomini per aiutarli mettere al mondo [la maieutica, che significa mettere al mondo] il logos, la ragione, l'intelligenza, la dignita', la giustizia. Costringendo i poveri di spirito [gli uomini privi di conoscenza], per tutti i tempi a venire, a dover vivere interrogandosi sempre. Costringendo gli uomini a rinunciare alla comodita' dei luoghi comuni, dei pregiudizi, della semplificazione ignorante.
Mi sembra che oggi abbiamo bisogno di rinfrescarci la memoria sui due grandi.
Grazie per averci messo nella condizione di ricordarli.
Un abbraccio.
Caro Gaetano la storiella dell' asino non la conoscevo ti ringrazio......è la vittoria dell' umile.In quanto al tuo commento mi ha colpito soprattutto la frase ....L'uomo, per quanto si evolva, resta sempre nel buio in relazione al mistero della vita e prevalendo in lui il misticismo, il surrogato per accettare questa condizione, finisce per credere che la "terra" che piove su di lui (quella del racconto dell'asino) sia la provvidenza divina per ascendere a lui (Adamo ed Eva non furono fatti in questo modo?). Ma la provvidenza divina, per modo di dire, è anche quella del sistema in cui viviamo che ci sovrasta in tanti modi. .... Infatti sia l' uomo di scienza ( con il suo empirismo) sia l' uomo filosofo ( con i suoi parallelismo e le sue analogie) sia tutti gli uomini cercano di dare una spiegazione ( non riuscendoci mai completamente) al sistema in cui viviamo. Come al solito sei sempre speciale e userò il tuo commento per un altro post. Ciao e grazie.
Caro Pietro anche io penso che oggi abbiamo bisogno di rinfrescarci la memoria sui due grandi.....a volte vacillo e mi domando se sono adeguata ai tempi o se sono out , perchè alla fine sembra che tutto divenga relativo, per fortuna che poi mi vado a leggere qualcosa di buono e mi faccio forza perchè mi ritrovo in loro......."ogni epoca presenta due facce , e il vedere l' una o l' altra dipende dalla posizione in cui ci mettiamo" da ELOGIO DELLA MITEZZA libro che tu mi hai consigliato di leggere e di cui ti ringrazio caldamente. Un abbraccio.
Anche Bobbio era un grande.
Il suo pensiero era come un respiro calmo e profondo.
Pieno di ossigeno. Rigenera l'animo e lo spirito. E ovviamente il pensiero.
E' una cura meravigliosa. O un ricostituente.
La storiella dell' asino mi ha fatto ricordare un' altra storia ascoltata al Festival della filosofia di Modena.
Uno dei filosofi passeggiava e ripeteva continuamente
''Mio Dio, mio Dio! Perfetto! Va bene! Mio Dio, mio Dio!''
''Che ti succede?'' domando' un altro filosofo. ''Perche' ripetere continuamente mio Dio se va bene, e' perfetto?!''
''Ah caro amico!'' ribatte' il primo filosofo. ''Il fatto e' che ho trovato una risposta inaudita, incredibile, una perla tra le perle! Il problema e' che non ho ancora trovato la domanda''.
Aneddoto che ben si attaglia al discorso di Giordano Bruno.
Caro Pier Luigi ieri sera il ministro Tremonti diceva che trovata la prognosi ,si fa la diagnosi e poi la cura ( si riferiva alla crisi economica) io dubito fortemente ed in questo caso mi basterebbe la cura ovvero la risposta .Un saluto.
Si' Teo, il buon ministro con la sua voce ragliante ha tanto parlato, ma detto poco.
Credo che la mia nonna avrebbe detto:
''Caro Tri-menti il signore ci ha dotato di due orecchie e di una sola lingua, per ascoltare di piu' e parlare di meno''.
Aveva ragione Theodor W. Adorno quando nel suo ''Minima Moralia'' (aforisma 120) ha scritto:
''Ai poveri e' la disciplina altrui che impedisce di pensare; ai ricchi e ai politici la propria''.
Vale
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