Un milione trecentomila euro di risarcimento per la morte di un operaio, cifra record e si spera deterrente.
"Quel giorno l’operaio venne investito da un muletto in retromarcia. Il muletto circolava fra le persone a piedi, il dispositivo acustico non funzionante, in un luogo molto rumoroso, l’operaio chino mentre stava raccogliendo qualcosa, non vide il mezzo avvicinarsi. Ricostruendo le dinamiche il giudice definisce “del tutto evidenti le responsabilità del datore di lavoro, il fatto è di una gravità inaudita, in quello stabilimento si lavorava così: prima si ammettevano i rischi, poi si certificano le procedure per evitarli, ma alla fine la prassi era ben distinta. I lavoratori hanno il diritto di essere protetti anche dai rischi derivanti dalle loro disattenzioni. È stato attuato un modo di lavorare ispirato al massimo grado di pericolosità, una sorta di roulette russa che prima o poi avrebbe portato alla tragedia".
Assolto per non aver commesso il fatto. Si è concluso oggi il processo che vedeva Steno Marcegaglia, legale rappresentante dell’omonimo colosso europeo della trasformazione dell’acciaio, imputato per reati di lesioni colpose in seguito all’infortunio sul lavoro avvenuto nello stabilimento ravennate. La procura aveva chiesto quattro mesi di carcere.
L’ operaio ebbe una prognosi di 85 giorni, fu risarcito. Si ferì ad un braccio mentre assieme ad un collega che azionava gli ingranaggi, stava pulendo una macchina a rulli. La procedura dei due non era quella corretta.
Si sarebbe dovuta spegnere la macchina. Il fatto che gli stessi operai abbiano ammesso di conoscere tali procedure ha pesato sulla sentenza.
Sempre per Marcegaglia è stata fissata l’ udienza preliminare assieme l’ allora direttore dello stabilimento ravennate, per lesioni personali gravi, gravissime e in un caso per omicidio colposo nell’ ambito di una lunga serie di infortuni. A Marcegaglia viene contestato di non aver revocato la delega in materia di sicurezza al direttore nonostante la lunga scia di infortuni.
7 commenti:
Cara Paola, l'argomento, come sai bene, mi riguarda per motivi, diciamo, professionali.
Non so come commentare le due notizie, o i due fatti, o i due esempi, i due estremi, che racconti tu.
Tu hai parlato di un maxi-riconoscimento e di una assoluzione.
Normalmente non accade nè l'una nè l'altra cosa.
Ogni anno ci sono quali un milione di infortuni, tra quelli meno gravi e quelli più tragici.
Si tratta sempre di eventi che coinvolgono persone che, come ognuno di noi, al mattino si svegliano, si preparano e vanno al lavoro, convinte di dover passare una giornata immersi nella solita routine, vittime del solito noioso tran tran.
E invece il destino sta in aguato. Guarda di soppiatto e colpisce. Basta un nonnulla. Una disattenzione, una superficialità, alle volte un caso, molto più spesso il mancato rispetto delle norme di sicurezza. Più ancora incide la mancanza di attenzione al fattore "rischio", come chi cammina accanto ad un vulcano che sta per esplodere, ma poichè ignora la natura del pericolo, se va tranquillo.
E quando il vulcano esplode... si contano le vittime.
Ogni anno muoiono circa 1200 persone, quasi 3 al giorno.
E tra questi ci sono anche quelli che si trovano per strada che ancora non sono arrivati al posto di lavoro, o stanno tornando a casa, dopo la lunga giornata, pensando ai fatti loro, avendo archiviato un altro giorno di lavoro.
L'agguato è imprevedibile. Ma non è incontrollabile.
Nessuno può prevedere quando accadrà quell'evento che può mettere a rischio la salute o la vita. Ma è certo che compiendo taluni atti si apre la porta del pericolo.
Basta sapere che si apre quella porta e che da quella porta può entrare, senza preavviso, la belva feroce, famelica, impietosa.
In Italia ci si trova facilmente di fronte a persone che sottovalutano i rischi. In auto, per esempio, no?
In Italia è anche diffusissimo il fastidio per il rispetto attento delle pratiche, delle procedure, delle disposizioni, delle norme, in generale, non solo per quelle di sicurezza.
Questo mancato rispetto comporta, può comportare, nel campo della sicurezza, conseguenze molto gravi, che possono costare anche la vita.
Tra l'essere maniaci per il rispetto, e l'essere scrupolosamente attenti c'è una differenza che in Italia viene vissuta con molto fastidio. Questo rende la vita molto più facile alla belva famelica.
... segue...
Cara Paola ne ho conosciuti molti di lavoratori vittime di infortuni. Alcuni gravi, molti, mano gravi.
Sai cosa colpisce di più in loro? La sorpresa. Il senso di imprevedibilità, di "estraneità" a quello che è accaduto. Non parlo di colpevolezza o corresponsabilità. Parlo di tutt'altra cosa.
Parlo della sensazione che si portano appresso di essere del tutto estranei al destino che li ha colpiti.
Che la disgrazia, "la disgrazia" non è un rischio che grava su ognuno che lavora. Che può essere misurato e contenuto col massimo dei mezzi che la tecnologia oggi consente.
Ma "la disgrazia" li ha colpiti a tradimento, mentre erano girato dall'altra parte, ha colpito proprio loro che non c'entravano nulla.
E non c'entravano nulla, difatti. Salvo che, magari, dovevano rispettare, far rispettare richiedere il rispetto di un meccanismo complesso, articolato, che prevedo compiti precisi, procedure esatte, responsabilità ben chiare.
E se questo che ti racconto è sul versante dei lavoratori, pensa un pò cosa succede per i datori di lavoro.
La sicurezza? Costa! Fa perdere tempo, denaro. E' complicata. Complessa. Difficile. Mostro molto difficile, che non si fa acchiappare dagli sceriffi con la colt. Ci vogliono, cazzo che ci vogliono, scienziati col microscopio, tecnici con la mascherina, lavoratori coi controfiocchi!!!
Cazzo, questo ci vuole!
Non basta un mondo semplice. Non basta. Non basta, no!
Se no si perdono le mani, le braccia, le gambe, si finisce la vita su una sedia a rotelle. Se si è fortunati. Se no si muore e basta.
Ci vuole attenzione. attenzione, cura maniacale, amore per la complessità, senso di rispetto per le regole, moderazione nella sete di guadagno.
Tutto il resto sono chiacchiere evuoto fatalismo.
La sicurezza sul lavoro non so se un giorno riusciremo ad averla...
Ci vuole attenzione. attenzione, cura maniacale, amore per la complessità, senso di rispetto per le regole, moderazione nella sete di guadagno.
Tutto il resto sono chiacchiere evuoto fatalismo.
Caro Piero, tu mi hai risposto con buon senso, tu te ne intendi perchè sei addentro, io mi lascio condurre dal " dolore"
I due articoli sono contrapposti, sai se si può " perdonare" ad una piccola azienda dove il titolare investe tutto quello che ha nell' impresa e si butta sul lavoro con lo stesso fatalismo dell' operaio, è una cosa. Io non riesco a perdonare una azienda grande, grandissima, i cui famigliari sono a capo dell' organizzazione industriale italiana e sono ben consapevoli dei rischi,che non subiscono loro,ma è questo il mio " dolore"si rischia solo per pecunia , perchè la pecunia non olet, non olet, ma davvero sai in quell' industria che ho citato i ravennati non ci vanno a lavorare, ci vanno solo se presi per il collo,perchè è tristemente famosa, ma come hai letto, la sentenza del giudice è diversa.Forse perchè pecunia non olet?
In questo periodo di ricorrenze ai defunti i post mi hanno portato a ricordare gli animali e le morti bianche, ho voluto fare un tributo diverso.
Ciao Piero, grazie perchè mi hai confermato ciò che pensavo.
Dovremo averla Stella, il profitto ci riempie la pancia ma ci svuota il cuore.....e senza cuore si muore prima che avere la pancia vuota.
Un caldo abbraccio.
Come l'uomo lotta, s'impegna, s'industria, giorno dopo giorno, profondendo sforzi sovrumani, mezzi eccezionali, risorse senza misura per raggiungere il vuoto mito dell'immortalità garantita dal vano consumismo capitalista, perchè mai, Stella, non dovrebbero essere ancora più intensi gli sforzi per debellare fino all'ultimo millesimo di percentuale il rischio che la belva affamata assalga a tradimento chi sta costruendo il futuro dell'Umanità intera?
Infatti Piero,si vuole l' effimero e la vita la si disprezza, si vuole l' mmortalità di una bellezza che è marcia e si disprezza la vita.
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